NEOLITICO. I PRIMI AGRICOLTORI

Le neolitizzazione: le principali teorie

 

All'inizio del XIX sec. il danese Christian Thomsen, mettendo in ordine tra le collezioni del museo di Copenaghen, distinse per la prima volta 3 periodi cronologici successivi: le età della pietra, del bronzo e del ferro.

 

Nel 1865 John Lubbock, naturalista e archeologo inglese, distinse un'antica età della pietra, o pietra scheggiata, chiamata oggi Paleolitico, e una nuova età della pietra, l'attuale Neolitico (dal greco neos, nuovo, e lithos, pietra).

 

Nel 1930 V. Gordon Childe introdusse la nozione di Rivoluzione neolitica, ponendo l'accento sul radicale mutamento economico che questa tappa storica rappresenta: da predatori che si procurano di che nutrirsi nella natura, gli uomini pentano produttori dei propri mezzi di sussistenza.

 

Gordon Childe spiegava il nascere dell'agricoltura con la teoria delle oasi: l'economia di produzione ebbe inizio in un periodo di crisi climatica che investì il Vicino Oriente, zona dove comparvero i primi agricoltori e dove esistevano allo stato selvatico le specie animali e vegetali che poi saranno addomesticate. Per trovare acque e nutrimento gli animali e gli uomini furono costretti a riunirsi nei pressi delle sorgenti, nelle oasi. I cacciatori ebbero così l'opportunità di poter disporre, in prossimità dell'accampamento, di un gruppo di bestie e di una varietà di specie vegetali che rappresentavano una riserva di nutrimento facilmente disponibile.

 

Negli anni '60 la scuola americana della Nuova Archeologia puntò l'attenzione soprattutto sui fattori ecologici e demografici: il processo di neolitizzazione era visto come un adattamento dell'uomo rispetto alla pressione dell'ambiente naturale e all'aumento demografico. Fino ad allora era sembrato naturale credere che la domesticazione dei cereali selvatici può dare nutrimento a una famiglia per più di un anno e che sono due volte più ricchi di proteine rispetto a quelli coltivati. Di conseguenza si ritenne improbabile che, in presenza di risorse alimentari abbondanti e con alto potere nutritivo, si fosse verificata la pressione che è all'origine della domesticazione. Di qui l'ipotesi che l'agricoltura sia nata in zone marginali rispetto a quella 'ottimale', nel tentativo di produrre cereali in quantità altrettanto grande che nella zona 'ottimale'.

 

Negli stessi anni il Braidwood interpretò la neolitizzazione come il risultato naturale dell’evoluzione umana. Poiché le capacità tecniche erano aumentate, penne possibile, in un dato ambiente, procurarsi quantità di cibo sempre maggiori; o, per dirla in un altro modo, vivere a lungo in un dato ambiente ha stimolato le facoltà tecniche necessarie ad adattarvisi.

 

Gli studi attuali attribuiscono un ruolo determinante alla cultura come fattore di cambiamento. La sedentarizzazione, fatto culturale e sociale che precedette i cambiamenti economici, incitò gli uomini ad avere presso di sé la fonte di nutrimento e quindi ad organizzarne la produzione.

 

Il fenomeno della sedentarizzazione viene tradizionalmente interpretato alla luce di due fattori: i bisogni alimentari del gruppo umano e le risorse dell’ambiente naturale, anche i cambiamenti in ogni altro ambito (sociale, culturale, ecc.) vengono intesi come contraccolpi di un adattamento a uno squilibrio tra questi due fattori fondamentali.

 

Un’opinione di segno contrario è quella di J. Cauvin secondo il quale è inesatto parlare di uno squilibrio tra uomo e ambiente come pressione in favore della domesticazione. E’ più probabile che, alle prese con le tensioni interne che accompagnavano lo sviluppo demografico, alcuni gruppi umani abbiano tentato di evitare l’esplosione scoprendo, attraverso la pratica del loro ambiente quotidiano, nuovi tipi di rapporti sociali. Quindi l’agricoltura sarebbe innanzitutto una forma di adattamento della società umana a se stessa e non il frutto di una pressione ambientale. Le concentrazioni artificiali di cereali, come anche la caccia specializzata ai grandi erbivori, esprimono un progresso del lavoro organizzato, percettibile anche nelle architetture, all’interno delle società accresciutesi, nelle quali questo stesso organizzarsi determinava una crescita demografica generatrice di tensioni sociali.

 

Cauvin sostiene, quindi, che il fenomeno culturale non solo può precedere il cambiamento economico, ma può anche provocarlo, perché racchiude in sé una forza dinamica e di trasformazione dell’ambiente sociale e naturale in cui la società è immersa.

 

 

 

Il Neolitico: caratteristiche principali

 

Il Neolitico si definisce come uno stato di civilizzazione marcato da un modo di vita sociale ed economico completamente nuovo.

 

Riuniti in villaggi gli uomini producono il proprio nutrimento, introducono la lisciatura della pietra e la ceramica, elaborano credenze e culti associati al nascente mondo agricolo.

 

Le sedi sono solitamente rappresentate da insediamenti all’aperto; nelle fasi pù antiche le capanne sono a pianta circolare, poi rettangolare, costruite in mattoni d’argilla o con travi e incantucciati intonacati. Frequentemente sono riunite in villaggi.

 

Le attività economiche delle epoche precedenti continuano ad essere praticate: caccia, pesca, raccolta.

 

Viene introdotta l’agricoltura, la cui pratica è testimoniata dai resti di cereali. La presenza di manufatti ad essa connessi, macine e falcetti, che presentano la caratteristica patina, detta stralucido, derivante dalla lavorazione dei cereali, può derivare dall’utilizzo tanto di specie domestiche quanto di quelle selvatiche.

 

Sono coltivati frumento, orzo e miglio; in alcune regioni anche piselli, lenticchie, lino. Le derrate possono essere conservate in casa, in ripostigli o nei granai. Si utilizzano grandi vasi in terracotta o panieri di vimini. All’esterno si scavano silos o pozzetti che poi vengono riutilizzati per i rifiuti. L’alimentazione è forse a base di gallette di cereali e zuppe di legumi.

 

 

 

L’area di origine del frumento è la regione degli altopiani steppici del Mediterraneo orientale, dove gli incendi spontanei sono endemici. Il frumento selvatico ha una spiga che a maturità si frammenta in spighette, per favorire la dispersione dei semi al momento della maturazione e la loro risemina spontanea. Le spighe frammentate infatti, cadendo al suolo, vi penetrano, grazie ai pungiglioni di cui sono dotate (ariste), che si muovono con il variare dell’umidità dell’aria. Ciò permette loro anche di sopravvivere agli incendi spontanei. La resistenza al fuoco e ad altre avversità (calpestio, ecc.) propria dei cereali selvatici, ha fatto in modo che questi fossero tra le pochissime piante a crescere a stretto contatto con l’uomo, presso i suoi accampamenti, sugli spiazzi calpestati, come ancora oggi l’orzo murino (H. murinum l.) cresce ai bordi dei marciapiedi delle nostre strade.

 

Le spighe di cereali selvatici devono essere colte prima che si frammentino, cioè prima che giungano a maturazione completa. Le cariossidi (i frutti del frumento), di dimensioni molto piccole, sono vestite, cioè le giumelle che le rivestono non si separano spontaneamente, e quindi bisogna bruciacchiarle e batterle, per poterle scortecciare, prima di mangiarle. Di conseguenza gli uomini, durante i millenni, con un’attenta osservazione, hanno cercato di scegliere per la riproduzione le spighe prive di questi difetti, modellando secondo i propri scopi il patrimonio genetico ereditario del frumento e quindi la pianta stessa, trasformandola da selvatica a domestica.

 

L’agricoltura europea è dovuta per intero agli apporti delle civiltà di altri continenti. Il più antico contributo, l’introduzione stessa dell’agricoltura, basata sulla coltivazione del frumento e di altri cereali, proviene dal Mediterraneo orientale. La coltivazione di cereali che, nelle zone di origine, prediligeva le zone aride, si propaga in Europa secondo un’impostazione di tipo più orticolo, presso sorgenti e rive fluvio-lacuali. Il radicarsi della pratica agricola nelle grandi pianure europee, allora persamente forestale rispetto ad oggi, richiese il disboscamento, realizzato mediante le asce di pietra levigata. In seguito si appiccava il fuoco, per liberare completamente l’area e renderla fertile grazie alla cenere. Un’agricoltura che non doveva essere molto persa da quella che oggi distrugge le foreste africane.

 

 

E’ documentato l'allevamento di animali quali capra, pecora, bue, maiali, cane. Secondo alcuni archeozoologi vi si giunse gradualmente, dapprima attraverso una caccia selettiva, poi attraverso una coabitazione nella quale gli uomini cercavano di fornire nutrimento a certi animali per tenerli nei pressi dei villaggi, pentando ad essi più familiari. Nel Vicino Oriente, per esempio, si cominciò a cacciare la gazzella ma, difficile da addomesticare, fu abbandonata per capra e montone, più docili. I dati archeologici hanno dimostrato, tuttavia, che la domesticazione di animali non è sempre legata a un preliminare contesto di caccia specializzata e, in tal caso, le cause devono essere ricercate nell'ambito della cultura. Pare infatti che la comparsa della domesticazione animale risponda innanzitutto a un desiderio umano di dominazione sugli animali.

 

Determinare il momento in cui compaiono alcune specie domestiche è ancora più difficile per gli animali che per le piante. Certi animali, come il cane e il maiale, si nutrono degli scarti dell’uomo e non necessitano di foraggio, quindi poterono sicuramente vivere in comunità con gli uomini anche senza essere addomesticati.

 

Il cane, derivato dal lupo, fu addomesticato già alla fine del Paleolitico; mangiato assai raramente, è innanzitutto compagno dell’uomo nella caccia.

 

Gli altri animali sono stati allevati progressivamente nel Vicino Oriente a partire dalla fine del IX millennio a.C. e si ritrovano poi tutti insieme in Europa congiuntamente alle piante domestiche.

 

La capra apparve prima in Iran in un allevamento transumante. Il montone, più tarpo, acquistò ben presto più importanza della capra. La domesticazione causa la riduzione delle dimensioni delle corna e la diminuzione della taglia. Questi animali non hanno antenati selvatici in Europa dove sono quindi stati portati dagli uomini.

 

Sia il bue sia il maiale, l'ultimo animale addomesticato, hanno antenati in Europa, ed è difficile distinguere tra l'importazione dal vicino Oriente e la domesticazione locale. A lungo questi animali sono stati utilizzati solo per la carne e solo nel IV mill. nel Vicino Oriente e nel III in Europa è cominciato lo sfruttamento dei prodotti secondari (latte, lana, forza da traino).

 

 

 

Origini della neolitizzazione

 

Nella Mezzaluna fertile, la regione geografica che, descrivendo un arco di cerchio, va dal mar Morto all’altopiano iranico, attraverso il fossato della Giordania, la Siria, la zona pedemontana dei monti Zagros è presente la maggior parte delle specie botaniche e zoologiche che gli uomini del Neolitico hanno addomesticato: cereali (frumento, orzo, segale, ecc.), leguminose (piselli, lenticchie, fave, ceci, ecc.) e varie specie animali (capre, mufloni, uri, cinghiali, ecc.). Tuttavia tali specie non sono esclusive di quella zona.

 

All’inizio della neolitizzazione, circa 12.000 anni fa, il Vicino Oriente conosceva già da persi millenni condizioni climatiche eccezionalmente favorevoli, al riparo dagli eccessi del clima freddo come di quello secco. Tali condizioni bio-geografiche non costituirono la spinta iniziale alla neolitizzazione in quanto favorirono in uguale modo sia la persistenza dell'economia di caccia e raccolta, sia le successive strategie di produzione.

 

Circa 13.000 anni a.C., con il riscaldamento del clima dovuto alla fine delle glaciazioni, i cereali si diffondono nel Vicino Oriente.

 

12.500-10.000 a.C. con il NATUFIANO si ha una fase di sedentarizzazione preagricola. Gruppi di cacciatori-raccoglitori abitano in villaggi formati da poche unità di case seminterrate a pianta circolare, con pareti rinforzate da pietre a secco. La solidità di queste costruzioni, insieme alla presenza di pesanti arredi domestici (mortai, pestelli, mole) e alle sepolture interrate sotto le dimore o al loro esterno, depongono a favore del carattere stabile dell’occupazione. Le manifestazioni artistiche, piccoli oggetti in pietra o in osso, sono di soggetto zoomorfo.

 

10.000-9.000 a. C. Si verifica quello che il Cauvin ha chiamato Rivoluzione dei Simboli (periodo Khiamiano), una mutazione simbolica che precede l'economia agricola e che quindi non può essere imputata al mutamento delle basi materiali della società. Essa consiste in un fenomeno di umanizzazione dell'arte, con il diffondersi di figure femminili schematiche, accanto alle quali l'elemento animale si mantiene nella figura del toro. Si diffonde dunque un sistema simbolico fondato su due personaggi, la donna e il toro, la cui promozione è dovuta essenzialmente a un cambiamento mentale. Le immagini femminili e quelle di tori saranno una costante del Neolitico del Vicino Oriente, fino a pentare, nelle fasi ceramiche (Çatal Huyuk), personaggi mitici e pini.

 

9.500-8.700 a.C. Neolitico pre-ceramico A (PPNA), orizzonte cronologico in cui sono presenti le culture Sultaniano (Israele e Giordania), Aswadiano (regione di Damasco) e Mureybetano (Medio Eufrate), in seno alle quali si riconoscono le prime tracce di agricoltura. Continua la tradizione delle case rotonde – che in alcuni casi presentano, però, una profonda differenziazione dello spazio domestico (Mureybet) – ma compaiono anche le prime costruzioni a pianta rettangolare (Mureybet e Cheikh Hassan). Interessanti esempi di architettura collettiva sono emersi a serico, dove sono stati rinvenuti una torre di 10 m di diametro alla base e resti di un muro di cinta largo 3 m. Sono note sepolture secondarie in fosse e l'uso di inumare i crani separatamente dal resto del corpo (cosiddetto 'culto dei crani'). La terracotta, ancora priva del digrassante tipico della ceramica successiva, viene utilizzata per plasmare figurine femminili e piccoli recipienti induriti al fuoco.

 

8.700 – 7.000 a.C. Neolitico pre-ceramico B (PPNB), fase in cui in tutto il levante si generalizza la presenza di villaggi agricoli, con case rettangolari. E’ testimoniato per la prima volta anche l'allevamento di caprini. Dall’ VIII millennio ha inizio anche la neolitizzazione dell'Anatolia e delle pendici del Tauro.

 

7.000 a.C., data convenzionale di diffusione della ceramica che tuttavia è assai persificata a seconda delle regioni (dal 7.500 fino alla fine del VII millennio). A questa data tutti gli elementi costitutivi del Neolitico sono presenti, insieme, ovunque; raggruppamenti in villaggi, economia produttiva, culti e tecnologie nuove. La domesticazione è presente in tutto il Vicino Oriente nelle sue due forme, benché il modo di vita delle comunità sia determinato dalle condizioni ambientali: mentre il Levante è completamente sedentarizzato, negli Zagros, regione montana, le tradizioni transumanti non sono completamente abbandonate.

 

Silvia Odone. 

 

 

 

Libera trascrizione della Conferenza registrata dal vivo presso il Piccolo Teatro Comunale nell’ambito delle attività culturali promosse dal Gruppo Storico Archeologico di Manerbio in collaborazione con il Museo Civico, l’Assessorato alla Cultura e l’Amministrazione Comunale della Città di Manerbio.

Ultima modifica: Mar, 07/07/2015 - 09:55